A Krimo Zennir con tutto il moi affetto
Sidi Fredj
Come tutti gli stranieri residenti ad Algeri
avevo cominciato la mia vita di dopolavoro frequentando Zeralda. Il nome
suonava bene, nelle regole del « bon ton » . C’erano dei campi da
tennis ed un chiosco per le bevande. Il luogo era protetto dall’
« arabo » invadente. Si vedevano solo macchine a targa straniera.
Dunque, perfettamente frequentabile. Solo che io mi annoiavo a morte, non
giocando con le racchette e non amando troppo le gazzose. Ma era il punto di
ritrovo delle mie prime conoscenze, dunque……
Cio che mi salvo’ da questa routine fu la mia
passione per la pesca. La pesca mi fece conoscere un mondo meraviglioso e
sconosciuto.
Non
perdevo nessuna occasione per esplorare le coste alla ricerca di un buon posto.
Oppure infastidivo gli algerini per farmi indicare un possibile spot.
Grazie, dunque, alla mia mania, sbarcai a Sidi
Fredj.
Il piccolo porto era una riserva privata per i
vecchi frequentatori, che vi regnavano da padroni. Velocemente i miei
« bon jour » si trasformarono in « Salaam » ed i
miei « Monsieur » in « Sidi ».
Le mie
numerose esperienze d’estero mi avevano formato a utilizzare tutte le astuzie
per farmi accettare dai locali, e ,ne approfittai senza vergogna alcuna. Breve,
in poco tempo potei integrarmi al microcosmo che colonizzava quel dolce piccolo
porto.
Tutti i miei momenti liberi li passavo a Sidi
Fredj per penetrare quel mondo di pescatori inveterati e maliziosi.
Debbo, obbiettivamente riconoscere a Krimo, il
mio migliore amico , il merito di avermi cauzionato ed introdotto come un
fratello, la migliore maniera di farmi accettare, essendo lui una gloria di
Algeri, conosciuto da tutti.
Tutto
questo bel mondo si ritrovava, in fine pomeriggio, sulla lunga banchina per
prendere l’aperitivo, lodevole abitudine algerina.
Il
molo era costruito in maniera da formare una serie di arcate. Le volte, in origine
vuote, con il tempo erano state squattate dai pescatori, che le avevano chiuse
con delle porte, secondo il loro gusto ed i loro mezzi. C’erano porte in ferro, in legno, con o senza finestre, altre con sbarre.
Queste
sbarre le facevano somigliare a delle porte di prigione, prigione in cui i
reclusi erano quelli che stavano fuori.
Durante il giorno i più arrivavano dalla città e
si univano a coloro che avevano passato la notte nelle loro minuscole cabine.
Quando parlo di pescatori, non parlo di professionisti.
Erano per lo più dei pensionati che avevano il
gusto del mare sulla pelle e che trovavano il porto essere l’unico posto
vivibile.
Ciascuno aveva trasformato il suo rifugio a sua
guisa. La maggior parte vi ammucchiava attrezzi vecchi ed arruginiti. Un
piccolo letto. Un armadietto per conservare i tesori del ricordo.
Ce n’erano anche, fortunati, che possedevano un
minuscolo frigorifero, a petrolio, per rinfrescare la gazzosa in estate.
Mucchi di lenze, oramai inutilizzabili, che
ripassavano tutto il giorno, alla ricerca di pezzi ancora buoni, non si sa mai, che la lampuga arrivi. Deserto
dei tartari marino. Pesce sognato dalla maggior parte dei vecchi, che non
avevano più né barca, né forze.
All’ingresso
stazionava in permanenza un gatto, era la cabina di Sid Ali, l’unico a cucinare
nel suo antro, ed il gatto lo sapeva bene!
Questi uomini avevano molti amici. Per la maggior
parte, più giovani, e che , lavorando durante il giorno, non mancavano mai di
venire il pomeriggio, condividendo tutti la medesima passione. Per ritrovare i
loro vecchi, ma, sopratutto per l’aperitivo:
La ‘ Meu-meu’.
Questa ‘Meu-meu’ era un’anisetta fatta in casa,
doveva il suo nome alla storpiatura delle iniziali del suo creatore e
fabbricante: Mohamed Merabet.
L’ uomo, e quando dico uomo voglio dire UOMO, era
autista di ambulanze durante la battaglia d’Algeri. Profittava del suo veicolo
e della sirena per oltrepassare i posti di blocco francesi e seminare lo
scompiglio assieme agli insorti.
Per cio aveva anche ricevuto una medaglia di eroe
della rivoluzione. Oggi l’unico vantaggio che gli derivava dal suo glorioso
passato era di poter sottrarre all’Ospedale, in un paese islamico, delle
damigiane di alcool chirurgico con il quale confezionava la sua bevanda.
Era diabetico. Ogni tanto, secondo i capricci
della sua memoria, si iniettava dell’insulina nella coscia. L’ultima iniezione
ufficiale era per la cinque del pomeriggio e tutti erano al corrente che alle
cinque e mezza si cominciava a bere il sospirato aperitivo. Merabet accordava
all’insulina una mezzora, prima di dare inizio all’infinita serie di tornate di
« Meu-meu ».
Le cinque e mezza:
« Krimo cosa aspetti? Perché perdi
tempo ? »
« Hocine ! cosa hai di cosi importante
da fare, passerà tutta la notte prima che ti vedo ? »
« Ya Aziz ! » (Era il mio nome arabo.) « Anche
tu, figlio mio, ti diverti a farmi spazientire ? »
E subito dopo cominciava a gridare su tutti
coloro che erano nei suoi paraggi. Tirava fuori le sedie, dei panchetti e
s’istallava sul suo « trono » con la bottiglia ed i bicchieri a
fianco.
Gli amici arrivavano e li piazzava secondo il loro
rango e categoria. Per l’ospite del giorno, si alzava, cercava un bicchiere che
lavava accuratamente. Con il suo amico preferito condivideva la sua tazza. Agli
occasionali urlava, imprecando, che non c’era nulla per i parassiti, ma
acconsetiva sempre a dar loro un bicchiere di carta pieno fino all’orlo da
passarsi l’un l’altro.
Io ero il sou bersaglio quotidiano. Preferendo
non allungare la bevanda con l’acqua, per ragioni personali, amavo gettarmela
in gola pura, per accendere subito una sigaretta. Merabet berciava che se tutti
fossero stati come me, ci sarebbero voluti dieci litri al giorno da preparare.
« Mettici un po’ d’acqua, figlio. Ti fa male
ed in questo modo mi vuoti la bottiglia.»
« Krimo ! Krimo! Come t’é venuto in
testa di portarmi ‘sto fannullone d’Aziz ? Ridurro’ la tua dose per
compensare le perdite! »
E via, avanti per tutta la serata a trincare ed a
spettegolare, con in sottofondo la voce di Merabet berciante e sempre più accaldato. Alla fine non
ricordava più se doveva bere l’insulina e iniettarsi l’anisetta o viceversa.
Ora é morto! Solamente nel corpo. La sua vera
presenza sopravvive nella nostra memoria collettiva, la nostra memoria, noi, i
sui soli amici.
« Aziz !Eh
vieni! Che aspetti? Vieni qui, prendi quest’amo. Guarda come é ben fatto !
E Giuseppe Torino che me l’ha offerto alla sua partenza. Prendilo. Hai visto
mai che riesci a prendere un pesce ! »
Rimase un bell’uomo fino all’ultimo giorno. Alto,
snello,con una bella testa da pirata ed un sorriso a trentasei denti candidi. Gran
donnaiolo, non disdegnava, ai suoi ottant’anni, di fare l’occhiolino alle
graziose ragazze di passaggio. Non si puo mai sapere!
Si era sposato giovane con una artista di un
circo italiano di passaggio, di cui fu sempre innamorato.
Ora sua moglie era da anni idropica, enorme e sofferente, ogni bellezza scomparsa
nel tempo e nella malattia. Merabet passava le sue notti a spiare il suo
respiro. Quando si faceva troppo affaticato, la girava dall’altro lato, fino a
che la donna non riprendesse a respirare normalmente. Merabet percorreva il suo
calvario ormai da anni con amore e deizione. Quanta dolcezza in quel vecchio
violento!
Qualsiasi cosa noi preparassimo o portassimo da
mangiare, prima di cominciare, tirava
fuori una scatola di plastica : « Dammene un poco, per favore. Lo faro’ assaggiare anche a
Clementina. »
Era il suo
modo di non dimenticarla e di farla essere tra noi.
La sua cabina era in attività tutto l’anno . I
miei ricordi mi portano alle lunghe giornate d’estate piene di sole.
« Siedi con me, figlio, ti verranno dei crampi a stare cosi »
Le serate d’inverno. Il freddo intenso e
l’umidità. Unico riscaldamento la « Meu-meu » Fuori la pioggia ed i
cavalloni che riuscivano a superare il muro del molo. Il miracolo di uscire a
pisciare, in cordata, per non farsi travolgere dalle onde. Quello che aveva
finito il suo dovere, lasciava il posto al seguente e si ripiazzava in coda a
tenere gli altri.
E poi, finalmente, l’estae ! Merabet in
calzoncini ricomonciava a urlare ed a lanciare complimenti alle ragazze.
La vita tornava a Sidi Fredj.
Rimessa a nuovo delle barche. Vernice nuova sui
loro fianchi. Preparazione delle lenze in pieno sole.
“Non é quello il modo di attaccare gli ami! Vieni
qua che ti mostro, ignorante.”
E cio faceva, per un po’, dimenticare le miserie
quotidiane dell’Algeria di quegli anni. Il porto si trasformava in zona franca.
Ci trasformava in gente felice. Magia di Sidi Fredj !
« Sid Ali !Non é ancora pronta la tua
ratatouille? Che aspetti ? Che si muoia di fame? »
Sid Ali era un vecchietto basso e rotondo. Il suo
giro vita era uguale alla sua altezza
Anche i suoi occhiali erano tondi. I capelli
lunghi, legati a coda di cavallo. La bocca con un solo uncisivo, sempre
illuminata da un sorriso.
Ogni mattina compariva all’entrata del porto con
la sua sporta piena di cipolle, pomodori, peperoncini e uova.
Alle undici, in punto, tirava fuori un
fornelletto, un’enorme padella e la bottiglia, sacra, d’olio d’oliva e
cominciava a confezionare una ratatouille di fuoco per i soui numerosi clienti.
Era il cuoco ufficiale della combriccola.
Era vestito di un pantalone di pigiama rosa. Per
poterci entrare aveva cucito sul didietro un grande triangolo, ricavato dalla
giacca dello stesso pigiama.
Era da vedere. Tutto tondo, rosa, la coda di
cavallo ed il suo timido sorriso.
Sempre servizievole, e, con chiunque. A
differenza di noi delinquenti, non si compiaceva dei pettegolezzi. Non covava
mai antipatie o rancori. Sempre calmo e tranquillo.
Era anche molto devoto. Non dimenticava mai i
suoi doveri religiosi. Alle ore comandate, chiedendoci perdono si ritirava
nelle sua cabina per la preghiera.
Un giorno, durante la preghiera di mezza mattina,era
quasi alla fine delle sue devozioni.la porta della cabina era accostata, non
ben chiusa. Lo sentimmo esclamare ‘Allah ou akhbar’ Dio é grande, All’inizio
normalmente, poi in un crescendo sempre più forte e frenetico. Al di fuori,
sulla banchina due giovani figliole passeggiavano dimenando i fianchi e facendo
ticchettare i tacchi. Sid Ali le aveva intraviste attraverso lo spiraglio della
porta e rendeva grazie a Dio per avergli concesso lo spettacolo.
Tutti insieme gridammo, scioccati: « Sid Ali ». Cio non aderiva
all’immagine che avevamo dell’uomo.
Usci tranquillamente ripiegando il suo tappeto da
preghiera.
« Cosa c’é ? Perché gridate? »
Appena gli avemmo spiegato che tutto il porto
aveva notato, divenne tutto rosso e ci tratto’ di bugiardi. Inoltre nessuno doveva ascoltare un fedele in conversazione col suo Dio.
Praticante, non voleva comunque offenderci al momento
dell’aperitivo; essendo la nostra anisetta di colore biancastro, si preparava
un bicchiere di sciroppo di mandorla, più o meno lo stesso colore dei nostri
bicchieri e ci raggiungeva per stare con noi.
Adorava la pesca, dunque quando decicevamo di
uscire, in due secondi era pronto, con la sua borsa piena di lenze davanti alla
nostra barca. Nella sua borsa, inoltre il coltello, la famosa padella ed un po’
di provviste. Non si sa mai !
Per mare tranquillo nessun problema, ma quando le
brezze cominciavano a far rollare la barca, cominciavamo a preoccuparci.
Dovevamo legarlo per evitargli di rotolare dappertutto. Alla sua età una
frattura………..
La sua forma naturale era più prossima al rollio
che al beccheggio. Dietro le nostre prese in giro, eravamo davvero preoccupati.
Nell’atttesa che un pesce abboccasse diventava
impaziente. « Ma che hanno stamattina!Non hanno fame? Pertanto la sardina é
fresca. L’ho scelta io stessa al mercato di Ain Benian, dove mi
conoscono ! »
Improvvisa la prima toccata. « Allora ? »
« Nulla Sid Ali, non é altro che una piccola triglia. »
« Ah ! Ah ! Dietro i piccoli ci
sono sempre i grossi. Non c’é che da aspettare. La giornata sarà buona. »
E, se in fine giornata, non si era preso nulla: « Era evidente !Si
vedeva bene che oggi era una giornata di triglie! »
Sempre
felice, gli bastava di stare in mare.
« Avremmo
dovuto calare degli ami piccoli ed avremmo fatto il pieno di
triglie ! »
« Ma ci vedi Sid Ali tornare in porto con
tutto st’equipaggiamento e due casse di triglie ? » « E allora !
Sono squisite. Le avrei cucinate alla portoricana. Squisite ! »
La salsa portoricana era una sua invenzione. Non
avrebbe saputo dire dove era Portorico. Ma suonava bene : Porto e rico.
Sempre la stessa. Per qualunque pesce e tempo. Ma eravamo titti d’accordo per
complimentarlo e leccarci le dita ad ogni volta. Lo faceva veramente per farci piacere..
Ed alla sera tutto il bottino della pesca veniva
disposto per terra, fritto, grigliato o
alla portoricana. Ce n’era per tutti, anche i passanti erano invitati a
servirsi. La festa ! Una vera festa.
Dopo il festino l’inevitable
« Meu-meu » che per la serata si vestiva da digestivo.
Ce n’era che restavano fino alla fine della
serata e della bottiglia, e, altri che per rispetto alla loro fede partivano
salutando all’arrivo della boccia d’alcool.
Fra quest ultimi, molto osservanti, c’era anche
il moi amico Abdelkader.
Egli possedeva
la sua propria barchetta di fronte ai nostri quartieri. Era un piccolo
imbarcadero riservato alle barchette dei pescatori semi-professionali, cioé
quelli che non nerano dei veri pescatori, ma erano obbligati a farlo per
necessità. Generalmente erano poveri e spesso il pescato serviva a nutrire la
famiglia. Anche il loro equipaggiamento era povero e dovevano compiere dei veri
miracoli per non tornare, la sera, a mani vuote
Abdelkader traversava il porto con la sua
barchetta per venire a renderci visita. Era molto amato per la sua semplicità e
franchezza.
Durante la sua vita si era sposato molte volte,
aveva avuto molte donne. Gli restavano, al presente, solo le quattro
tradizionali. Del suo amore per il letto coniugale gli erano venuti al mondo
trentaquattro figli a cui provvedere.
Aveva, oramai, ottantaquattro anni, e, ogni santo
giorno usciva per pescare alla palangrotta, che fosse buon tempo o no. Magro e
nero come un chiodo arruginito.
Trovandomi
simpatico, aveva piacere ad invitarmi nelle sue uscite in mare. Le proteste di Krimo e
compagnia non riuscivano a farmi desistere.
« Lascia stare. La sua barca é fatta per una
persona, e ancora ! Non possiede nessun equipaggiamento, se il cattivo
tempo vi acchiappa, non avrete modo di rientrare. Il mediterraneo é
imprevedibile e violento. Uscite in una giornata
d’estate ed in un minuto vi trovate in pieno inverno. Non andarci, per
favore !»
Niente da fare. Mi sarei sentito di tradire
l’amicizia che Abdelkader mi offriva.Dunque avanti e coraggio.
Era veramente maligno, alla pesca, voglio dire. Conosceva
tutte le poste e tutte le astuzie. Dai suoi risultati dipendeva il pasto
serale, e, dunque la sua reputazione di capofamiglia. Non facile impresa quando
a casa attendono una quarantina di affamati.
Mi raggelava con delle osservazioni stupefacenti.
Al limite del credibile.
Un giorno che eravamo al largo, non smetteva di
farmi muovere la barca a piccoli spostamenti, fatti tirando o mollando d’un
metro per volta la corda dell’ancora.
Stufo, gli dissi: « Ma a che serve. Abdelkader rispetto al
fondo, mi sposto di qualche centimetro. Che differenza ti fa? »
« Enorme la differenza ! » grido’. Come tutti i
vecchi pescatori s’orientava con i riferimenti a terra, per trovare un punto
preciso. Ma ormai eravamo talmente al largo che la terra non si vadeva più. I
loro riferimenti erano gelosamente custoditi.Trovare una piccola cresta di
roccia in mezzo al fango sterminato, senza riferimenti a terra e su un fondo di
ottanta metri era un miracolo inesplicabile.
« Questa roccia possiede una cavità» mi spiego’ «La grotta é orientata
a nord. Con questa corrente tutto il pesce si ripara al lato nord . Se non
siamo precisamente di fronte all’ingresso della grotta i pesci non si
allontaneranno, di certo, per venire a mangiare le nostre esche. »
Il bravuomo non sapeva nuotare. Non aveva mai
visto un ecoscandaglio. Lo scoglio era troppo piccolo per essere riportato su
una carta nautica.Oltre tutto, ottanta metri di fondo. Dove Abdelkader aveva
aquisito questa conoscenza dettagliata del fondale ? Bah ! Restavo
scettico. Il fatto é che dopo qualche minuto, essndo soddisfatto della
posizione, le lenze cominciarono a trasmetterci delle scosse violente. Segno
inequivocabile che il pesce era presente ed ansioso di abboccare.
«Hai visto ? Solo io conosco questo posto. Non
devi raccontarlo a nessuno. »
Ogniqualvolta una barca, vedendoci al largo, accostava
per salutare, e per chiedere se c’era pesce, rispondeva: « Non c’é nulla qui! Che
della sabbia. Peschiamo le tracine alla deriva. »
Invariabilmente il visitatore ci prendeva per
matti e se ne andava via. Una volta una vedetta
veloce arrivo’ a fianco della nostra barca, giusto nel momento in cui
Abdelkader rimontava un grosso pagro, che aveva atteso per, almeno, due ore. Li saluto’ come al
solito, tenendo la mano nell’acqua con il grosso pesce ad un metro di distanza
che strattonava. La vedetta partita disse: « Sono dei rompiscatole. Nessuna educazione. Se mi facevano
perdere il pagro mi avrebbero sentito ! Se avessero visto il pesce, domani
qui ci sarebbe stata la folla.»
Al ritorno aveva l’abitudine di spartire con me
il pescato. In maniera assolutamente equa.
« Fammi il piacere Abdelkader, smettila. Per
me é solo un piacere. Tu hai una tribu da sfamare. Io, al contrario, sono solo
a casa, cosa vuoi che ne faccia di tutto ‘sto pesce ! »
« Abbiamo pescato insieme. Dio ha voluto che tu prenda la tua parte. Dunque
devi accettarla. Non si puo’ andare contro la volontà di Dio. Cio’ che ne
farai, sono fatti tuoi! »
Una volta dopo aver passato una giornata intera
senza che il pesce si facesse vedere, eravamo sulla via del ritorno ed
Abdelkader aveva filato una lenza in acqu, giusto per lavarla e tenderla prima
di riavvolgere. Eravamo quasi all’imboccatura e comincio a recuperare. « E pesante. Devo
aver agganciato delle alghe sul fondo.» D’un
colpo il nylon si animo’ ed un
grosso coccio capone venne a cadere sul pagliuolo.Sorpresa !Eravamo
ambedue felici come ragazzini.
Piazzo’ il coccio, che doveva fere i suoi buoni
cinque chili nel sacco del pesce, e, ci avviammo all’attracco. Mentre
sistemavamo la barca avevo notato che faceva passare surrettiziamente il pesce
nel mio sacco. Protestai vigorosamente, e lui : « E il tuo pesce. Punto ! Se tu
non fossi stato con me, non avrei riportato nulla. Dunque ti appartiene.»
E giù a discutere.Gli rimando il suo pesce. Lui
me lo rimanda e cosi via di seguito fino a che il coccio, stanco del maneggio,
ritrova le sue forze, ci scappa di mano e salta in acqua Rimanemmo come due idioti a
guardare la sua ombra che si allontanava verso il fondo!
« Hai visto? Se non si rispetta la Sua volontà, Dio si arrabbia e
tutti saranno perdenti.» Pena perduta discutere con la volontà di Dio e
con la sua. Mi avrebbe chiuso il becco con il divieto di essere blasfemo e mi
avrebbe minacciato di dare, la prossima volta,
tutto a Brahim.
A
Sidi Fredj c’erano due Brahim. Il primo era il meccanico del porto.Fannullone, sempre
allegro,di nessuna fiducia. Era sempre sporco, nero della morchia che ramazzava
nelle cale a motore. Lo supponevamo sporcarsi
apposta per mostrare di aver lavorato invece di dormire, come faceva in realta,
sul fondo delle barche.
Il
secondo era un gattaccio selvatico da sempre fisso al porto. A parte la forma era
identico al primo Brahim. Sporco, incrostato,Il pelo nero di grasso motore. Anche
lui aveva l’abitudine di sonnecchiare nella stiva delle barche.
Brahim, il gatto,era un ladro notorio. Brahim, l’uomo,
un ladro presunto.
Un bel giorno arrivando al porticciolo, , Elhadi
mi disse: « Vieni a mangiare, ti ho preparato un’insalata e ti sto
arrostendo un sarago che ha voluto lasciarti Krimo.»
Aspettando che il pesce fosse cotto prendo il
piatto d’insalata e me ne vedo a chiaccherare con gli amici. Mi perveniva il
profumo del moi sarago che si cuoceva dolcemente sulla brace.
El Hadi mi chiama : « Aziz vieni, é
pronto»
Masticando la mia verdura, lascio la compagnia,
che preparava lenze, e mi avvicino al braciere.
Brahim, sorto dal nulla, rapido come il fulmine, salta
sulle braci senza preoccuparsi del calore, afferra tra i denti il pesce rovent
e si getta in una fuga sfrenata. El Hadi si precipita all’inseguimento e riesce
a sferrargli un terribile calcio che lo proietta in acqua. Il gatto si mette a
nuotare come un pazzo, sempre con il pesce in bocca e sparisce fra le barche.
Quel giorno mi sono dovuto accontentare dell’insalata.
Il gatto conoscendo le conseguenze del suo atto
mise parecchi giorni prima di riapparire in società.
Il gran signore del porto era il moi amico Krimo.
Il suo vero nome Abdelkrim
Krimo era un mito ad Algeri. Era conosciuto da
tutti. In gioventu, con suo fratello Wahab, aveva rappresentato la gloria
sportiva dell’Algeria in campo internazionale. Ora viveva di rendita e di
affari.
Gransignore, sempre elegantissimo, grande
conoscitore di donne e di bottiglie. Un vero algerino, insomma. Sfiorava il
metro e novanta di altezza. Andatura elegante nel suo blazer bleu ed i suoi mocassini
brillanti.
Una testa leonina guarnita da una capigliatura
nera e fluente. Sempre pronto a far festa ed a godere
con gli amici. Anche
io, come tutti, l’adoravo e le nostre dispute finivano regolarmente in un
abbraccio.
Dopo una notte di bagordi, sbarcava sulla
banchina, apriva la sua cabina, usciva la sua sdraio ed aspettava l’arrivo
degli anziani. Sid Ali, Merabet, Abdelkadere gli altri,
Erano golosi del racconto delle sue imprese
notturne. Alcoliche ed erotiche.
Avevano l’impressione di ritrovare, attraverso
gli exploits di Krimo, la loro gioventu.
Bevevano letteralmente le sue parole,
registravano attentamente le sue cronache, inghiottivano il tutto senza
preoccupazione, anche qualche esagerazione.
Tutta l’atmosfera di Sidi Fredj mi manca, ma
quando cerco nei miei ricordi, quello che si presenta per primo, il più
prepotente, é il ricordo do Krimo
Tutti i personaggi da me raccontati sono reali ed
esistiti veramente. Vivono tuttora nel mio ricordo. Vorrei che questo racconto
facesse apparire come l’amore del mare possa accomunare popoli, razze e
religioni diverse. E in realta questo il miracolo del nostro mare.
------------- Che il mare vi benedica e vi ispiri!
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