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Racconti e storie di mare
 Forum di MondoMarino.net : Racconti : Racconti e storie di mare
Icona di Messaggio Evento: Un racconto di mare - Data Evento: 12 Marzo 2008(Topic Chiuso Topic Chiuso) Rispondi al Topic Posta un nuovo Topic
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Roberto M.
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Iscritto dal : 10 Marzo 2008
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bullet Eventi del Calendario: Un racconto di mare
    Postato: 12 Marzo 2008 alle 17:30

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A  Krimo Zennir con tutto il moi affetto

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sidi  Fredj

 

 

Come tutti gli stranieri residenti ad Algeri avevo cominciato la mia vita di dopolavoro frequentando Zeralda. Il nome suonava bene, nelle regole del « bon ton » . C’erano dei campi da tennis ed un chiosco per le bevande. Il luogo era protetto dall’ « arabo » invadente. Si vedevano solo macchine a targa straniera. Dunque, perfettamente frequentabile. Solo che io mi annoiavo a morte, non giocando con le racchette e non amando troppo le gazzose. Ma era il punto di ritrovo delle mie prime conoscenze, dunque……

Cio che mi salvo’ da questa routine fu la mia passione per la pesca. La pesca mi fece conoscere un mondo meraviglioso e sconosciuto.

 Non perdevo nessuna occasione per esplorare le coste alla ricerca di un buon posto. Oppure infastidivo gli algerini per farmi indicare un possibile spot.

Grazie, dunque, alla mia mania, sbarcai a Sidi Fredj.

Il piccolo porto era una riserva privata per i vecchi frequentatori, che vi regnavano da padroni. Velocemente i miei « bon jour » si trasformarono in « Salaam » ed i miei « Monsieur » in « Sidi ».

 Le mie numerose esperienze d’estero mi avevano formato a utilizzare tutte le astuzie per farmi accettare dai locali, e ,ne approfittai senza vergogna alcuna. Breve, in poco tempo potei integrarmi al microcosmo che colonizzava quel dolce piccolo porto.

Tutti i miei momenti liberi li passavo a Sidi Fredj per penetrare quel mondo di pescatori inveterati e maliziosi.  

Debbo, obbiettivamente riconoscere a Krimo, il mio migliore amico , il merito di avermi cauzionato ed introdotto come un fratello, la migliore maniera di farmi accettare, essendo lui una gloria di Algeri, conosciuto da tutti.

Tutto questo bel mondo si ritrovava, in fine pomeriggio, sulla lunga banchina per prendere l’aperitivo, lodevole abitudine algerina.                                                                                                                                           

Il molo era costruito in maniera da formare una serie di arcate. Le volte, in origine vuote, con il tempo erano state squattate dai pescatori, che le avevano chiuse con delle porte, secondo il loro gusto ed i loro mezzi. C’erano porte in ferro, in legno, con o senza finestre, altre con sbarre. Queste sbarre le facevano somigliare a delle porte di prigione, prigione in cui i reclusi erano quelli che stavano fuori.

Durante il giorno i più arrivavano dalla città e si univano a coloro che avevano passato la notte nelle loro minuscole cabine. Quando parlo di pescatori, non parlo di professionisti.

Erano per lo più dei pensionati che avevano il gusto del mare sulla pelle e che trovavano il porto essere l’unico posto vivibile.

Ciascuno aveva trasformato il suo rifugio a sua guisa. La maggior parte vi ammucchiava attrezzi vecchi ed arruginiti. Un piccolo letto. Un armadietto per conservare i tesori del ricordo.

Ce n’erano anche, fortunati, che possedevano un minuscolo frigorifero, a petrolio, per rinfrescare la gazzosa in estate.

Mucchi di lenze, oramai inutilizzabili, che ripassavano tutto il giorno, alla ricerca di pezzi ancora buoni,  non si sa mai, che la lampuga arrivi. Deserto dei tartari marino. Pesce sognato dalla maggior parte dei vecchi, che non avevano più né barca, né forze.

 

All’ingresso stazionava in permanenza un gatto, era la cabina di Sid Ali, l’unico a cucinare nel suo antro, ed il gatto lo sapeva bene!

Questi uomini avevano molti amici. Per la maggior parte, più giovani, e che , lavorando durante il giorno, non mancavano mai di venire il pomeriggio, condividendo tutti la medesima passione. Per ritrovare i loro vecchi, ma, sopratutto per l’aperitivo:

 La ‘ Meu-meu’.

                                                                                                                                           

Questa ‘Meu-meu’ era un’anisetta fatta in casa, doveva il suo nome alla storpiatura delle iniziali del suo creatore e fabbricante: Mohamed Merabet.

L’ uomo, e quando dico uomo voglio dire UOMO, era autista di ambulanze durante la battaglia d’Algeri. Profittava del suo veicolo e della sirena per oltrepassare i posti di blocco francesi e seminare lo scompiglio assieme agli insorti.

Per cio aveva anche ricevuto una medaglia di eroe della rivoluzione. Oggi l’unico vantaggio che gli derivava dal suo glorioso passato era di poter sottrarre all’Ospedale, in un paese islamico, delle damigiane di alcool chirurgico con il quale confezionava la sua bevanda.

Era diabetico. Ogni tanto, secondo i capricci della sua memoria, si iniettava dell’insulina nella coscia. L’ultima iniezione ufficiale era per la cinque del pomeriggio e tutti erano al corrente che alle cinque e mezza si cominciava a bere il sospirato aperitivo. Merabet accordava all’insulina una mezzora, prima di dare inizio all’infinita serie di tornate di « Meu-meu ».

Le cinque e mezza:

« Krimo cosa aspetti? Perché perdi tempo ? »

« Hocine ! cosa hai di cosi importante da fare, passerà tutta la notte prima che ti vedo ? »

« Ya Aziz ! » (Era il mio nome arabo.) « Anche tu, figlio mio, ti diverti a farmi spazientire ? »

 

E subito dopo cominciava a gridare su tutti coloro che erano nei suoi paraggi. Tirava fuori le sedie, dei panchetti e s’istallava sul suo « trono » con la bottiglia ed i bicchieri a fianco.

Gli amici arrivavano e li piazzava secondo il loro rango e categoria. Per l’ospite del giorno, si alzava, cercava un bicchiere che lavava accuratamente. Con il suo amico preferito condivideva la sua tazza. Agli occasionali urlava, imprecando, che non c’era nulla per i parassiti, ma acconsetiva sempre a dar loro un bicchiere di carta pieno fino all’orlo da passarsi l’un l’altro.

Io ero il sou bersaglio quotidiano. Preferendo non allungare la bevanda con l’acqua, per ragioni personali, amavo gettarmela in gola pura, per accendere subito una sigaretta. Merabet berciava che se tutti fossero stati come me, ci sarebbero voluti dieci litri al giorno da preparare.

« Mettici un po’ d’acqua, figlio. Ti fa male ed in questo modo mi vuoti la bottiglia.»

« Krimo ! Krimo! Come t’é venuto in testa di portarmi ‘sto fannullone d’Aziz ? Ridurro’ la tua dose per compensare le perdite! »

E via, avanti per tutta la serata a trincare ed a spettegolare, con in sottofondo la voce di Merabet berciante  e sempre più accaldato. Alla fine non ricordava più se doveva bere l’insulina e iniettarsi l’anisetta o viceversa.

Ora é morto! Solamente nel corpo. La sua vera presenza sopravvive nella nostra memoria collettiva, la nostra memoria, noi, i sui soli amici.

 « Aziz !Eh vieni! Che aspetti? Vieni qui, prendi quest’amo. Guarda come é ben fatto ! E Giuseppe Torino che me l’ha offerto alla sua partenza. Prendilo. Hai visto mai che riesci a prendere un pesce ! »

Rimase un bell’uomo fino all’ultimo giorno. Alto, snello,con una bella testa da pirata ed un sorriso a trentasei denti candidi. Gran donnaiolo, non disdegnava, ai suoi ottant’anni, di fare l’occhiolino alle graziose ragazze di passaggio. Non si puo mai sapere!

Si era sposato giovane con una artista di un circo italiano di passaggio, di cui fu sempre innamorato.

Ora sua moglie era da anni idropica,  enorme e sofferente, ogni bellezza scomparsa nel tempo e nella malattia. Merabet passava le sue notti a spiare il suo respiro. Quando si faceva troppo affaticato, la girava dall’altro lato, fino a che la donna non riprendesse a respirare normalmente. Merabet percorreva il suo calvario ormai da anni con amore e deizione. Quanta dolcezza in quel vecchio violento!

Qualsiasi cosa noi preparassimo o portassimo da mangiare,  prima di cominciare, tirava fuori una scatola di plastica : « Dammene un poco, per favore.  Lo faro’ assaggiare anche a Clementina. »

 Era il suo modo di non dimenticarla e di farla essere tra noi.

La sua cabina era in attività tutto l’anno . I miei ricordi mi portano alle lunghe giornate d’estate piene di sole.

« Siedi con me, figlio,  ti verranno dei crampi a stare cosi »

Le serate d’inverno. Il freddo intenso e l’umidità. Unico riscaldamento la « Meu-meu » Fuori la pioggia ed i cavalloni che riuscivano a superare il muro del molo. Il miracolo di uscire a pisciare, in cordata, per non farsi travolgere dalle onde. Quello che aveva finito il suo dovere, lasciava il posto al seguente e si ripiazzava in coda a tenere gli altri.

E poi, finalmente, l’estae ! Merabet in calzoncini ricomonciava a urlare ed a lanciare complimenti alle ragazze.

La vita tornava a Sidi Fredj.

Rimessa a nuovo delle barche. Vernice nuova sui loro fianchi. Preparazione delle lenze in pieno sole.

“Non é quello il modo di attaccare gli ami! Vieni qua che ti mostro, ignorante.”

E cio faceva, per un po’, dimenticare le miserie quotidiane dell’Algeria di quegli anni. Il porto si trasformava in zona franca. Ci trasformava in gente felice. Magia di Sidi Fredj !

« Sid Ali !Non é ancora pronta la tua ratatouille? Che aspetti ? Che si muoia di fame? »

 

Sid Ali era un vecchietto basso e rotondo. Il suo giro vita era uguale alla sua altezza

Anche i suoi occhiali erano tondi. I capelli lunghi, legati a coda di cavallo. La bocca con un solo uncisivo, sempre illuminata da un sorriso.

Ogni mattina compariva all’entrata del porto con la sua sporta piena di cipolle, pomodori, peperoncini e uova.

Alle undici, in punto, tirava fuori un fornelletto, un’enorme padella e la bottiglia, sacra, d’olio d’oliva e cominciava a confezionare una ratatouille di fuoco per i soui numerosi clienti. Era il cuoco ufficiale della combriccola.

Era vestito di un pantalone di pigiama rosa. Per poterci entrare aveva cucito sul didietro un grande triangolo, ricavato dalla giacca dello stesso pigiama.

Era da vedere. Tutto tondo, rosa, la coda di cavallo ed il suo timido sorriso.

Sempre servizievole, e, con chiunque. A differenza di noi delinquenti, non si compiaceva dei pettegolezzi. Non covava mai antipatie o rancori. Sempre calmo e tranquillo.

Era anche molto devoto. Non dimenticava mai i suoi doveri religiosi. Alle ore comandate, chiedendoci perdono si ritirava nelle sua cabina per la preghiera.

Un giorno, durante la preghiera di mezza mattina,era quasi alla fine delle sue devozioni.la porta della cabina era accostata, non ben chiusa. Lo sentimmo esclamare ‘Allah ou akhbar’ Dio é grande, All’inizio normalmente, poi in un crescendo sempre più forte e frenetico. Al di fuori, sulla banchina due giovani figliole passeggiavano dimenando i fianchi e facendo ticchettare i tacchi. Sid Ali le aveva intraviste attraverso lo spiraglio della porta e rendeva grazie a Dio per avergli concesso lo spettacolo.

Tutti insieme gridammo, scioccati« Sid Ali ». Cio non aderiva all’immagine che avevamo dell’uomo.

Usci tranquillamente ripiegando il suo tappeto da preghiera.

« Cosa c’é ? Perché gridate? »

Appena gli avemmo spiegato che tutto il porto aveva notato, divenne tutto rosso e ci tratto’ di bugiardi. Inoltre nessuno doveva ascoltare un fedele in conversazione col suo Dio.

Praticante, non voleva comunque offenderci al momento dell’aperitivo; essendo la nostra anisetta di colore biancastro, si preparava un bicchiere di sciroppo di mandorla, più o meno lo stesso colore dei nostri bicchieri e ci raggiungeva per stare con noi.

Adorava la pesca, dunque quando decicevamo di uscire, in due secondi era pronto, con la sua borsa piena di lenze davanti alla nostra barca. Nella sua borsa, inoltre il coltello, la famosa padella ed un po’ di provviste. Non si sa mai !

Per mare tranquillo nessun problema, ma quando le brezze cominciavano a far rollare la barca, cominciavamo a preoccuparci. Dovevamo legarlo per evitargli di rotolare dappertutto. Alla sua età una frattura………..

La sua forma naturale era più prossima al rollio che al beccheggio. Dietro le nostre prese in giro, eravamo davvero preoccupati.

Nell’atttesa che un pesce abboccasse diventava impaziente. « Ma che hanno stamattina!Non hanno fame? Pertanto la sardina é fresca. L’ho scelta io stessa al mercato di Ain Benian, dove mi conoscono ! »

Improvvisa la prima toccata. « Allora ? » « Nulla Sid Ali, non é altro che una piccola triglia. »

« Ah ! Ah ! Dietro i piccoli ci sono sempre i grossi. Non c’é che da aspettare. La giornata sarà buona. »

E, se in fine giornata, non si era preso nulla: « Era evidente !Si vedeva bene che oggi era una giornata di triglie! »

Sempre felice, gli bastava di stare in mare.

« Avremmo dovuto calare degli ami piccoli ed avremmo fatto il pieno di triglie ! »

« Ma ci vedi Sid Ali tornare in porto con tutto st’equipaggiamento e due casse di triglie ? » « E allora ! Sono squisite. Le avrei cucinate alla portoricana. Squisite ! »

 

La salsa portoricana era una sua invenzione. Non avrebbe saputo dire dove era Portorico. Ma suonava bene : Porto e rico. Sempre la stessa. Per qualunque pesce e tempo. Ma eravamo titti d’accordo per complimentarlo e leccarci le dita ad ogni volta.  Lo faceva veramente per farci piacere..   

 

 

Ed alla sera tutto il bottino della pesca veniva disposto  per terra, fritto, grigliato o alla portoricana. Ce n’era per tutti, anche i passanti erano invitati a servirsi. La festa ! Una vera festa.

Dopo il festino l’inevitable « Meu-meu » che per la serata si vestiva da digestivo.

Ce n’era che restavano fino alla fine della serata e della bottiglia, e, altri che per rispetto alla loro fede partivano salutando all’arrivo della boccia d’alcool.

Fra quest ultimi, molto osservanti, c’era anche il moi amico Abdelkader.                                                                                                                                     Egli possedeva la sua propria barchetta di fronte ai nostri quartieri. Era un piccolo imbarcadero riservato alle barchette dei pescatori semi-professionali, cioé quelli che non nerano dei veri pescatori, ma erano obbligati a farlo per necessità. Generalmente erano poveri e spesso il pescato serviva a nutrire la famiglia. Anche il loro equipaggiamento era povero e dovevano compiere dei veri miracoli per non tornare, la sera, a mani vuote

Abdelkader traversava il porto con la sua barchetta per venire a renderci visita. Era molto amato per la sua semplicità e franchezza.

 

 

Durante la sua vita si era sposato molte volte, aveva avuto molte donne. Gli restavano, al presente, solo le quattro tradizionali. Del suo amore per il letto coniugale gli erano venuti al mondo trentaquattro figli a cui provvedere.

Aveva, oramai, ottantaquattro anni, e, ogni santo giorno usciva per pescare alla palangrotta, che fosse buon tempo o no. Magro e nero come un chiodo arruginito.

Trovandomi simpatico, aveva piacere ad invitarmi nelle sue uscite in mare. Le proteste di Krimo e compagnia non riuscivano a farmi desistere.

« Lascia stare. La sua barca é fatta per una persona, e ancora ! Non possiede nessun equipaggiamento, se il cattivo tempo vi acchiappa, non avrete modo di rientrare. Il mediterraneo é imprevedibile e violento. Uscite in una giornata d’estate ed in un minuto vi trovate in pieno inverno. Non andarci, per favore !»

Niente da fare. Mi sarei sentito di tradire l’amicizia che Abdelkader mi offriva.Dunque avanti e coraggio.

Era veramente maligno, alla pesca, voglio dire. Conosceva tutte le poste e tutte le astuzie. Dai suoi risultati dipendeva il pasto serale, e, dunque la sua reputazione di capofamiglia. Non facile impresa quando a casa attendono una quarantina di affamati.

Mi raggelava con delle osservazioni stupefacenti. Al limite del credibile.

Un giorno che eravamo al largo, non smetteva di farmi muovere la barca a piccoli spostamenti, fatti tirando o mollando d’un metro per volta la corda dell’ancora.

Stufo, gli dissi: « Ma a che serve. Abdelkader rispetto al fondo, mi sposto di qualche centimetro. Che differenza ti fa? »                                                                                                                                          

« Enorme la differenza ! » grido’. Come tutti i vecchi pescatori s’orientava con i riferimenti a terra, per trovare un punto preciso. Ma ormai eravamo talmente al largo che la terra non si vadeva più. I loro riferimenti erano gelosamente custoditi.Trovare una piccola cresta di roccia in mezzo al fango sterminato, senza riferimenti a terra e su un fondo di ottanta metri era un miracolo inesplicabile.

« Questa roccia possiede una cavità» mi spiego’ «La grotta é orientata a nord. Con questa corrente tutto il pesce si ripara al lato nord . Se non siamo precisamente di fronte all’ingresso della grotta i pesci non si allontaneranno, di certo, per venire a mangiare le nostre esche. » 

Il bravuomo non sapeva nuotare. Non aveva mai visto un ecoscandaglio. Lo scoglio era troppo piccolo per essere riportato su una carta nautica.Oltre tutto, ottanta metri di fondo. Dove Abdelkader aveva aquisito questa conoscenza dettagliata del fondale ? Bah ! Restavo scettico. Il fatto é che dopo qualche minuto, essndo soddisfatto della posizione, le lenze cominciarono a trasmetterci delle scosse violente. Segno inequivocabile che il pesce era presente ed ansioso di abboccare.

«Hai visto ? Solo io conosco questo posto. Non devi raccontarlo a nessuno. »

Ogniqualvolta una barca, vedendoci al largo, accostava per salutare, e per chiedere se c’era pesce, rispondeva: « Non c’é nulla qui! Che della sabbia. Peschiamo le tracine alla deriva. »

Invariabilmente il visitatore ci prendeva per matti e se ne andava via. Una volta una vedetta veloce arrivo’ a fianco della nostra barca, giusto nel momento in cui Abdelkader rimontava un grosso pagro, che aveva atteso per, almeno, due ore. Li saluto’ come al solito, tenendo la mano nell’acqua con il grosso pesce ad un metro di distanza che strattonava. La vedetta partita disse: « Sono dei rompiscatole. Nessuna educazione. Se mi facevano perdere il pagro mi avrebbero sentito ! Se avessero visto il pesce, domani qui ci sarebbe stata la folla.»

Al ritorno aveva l’abitudine di spartire con me il pescato. In maniera assolutamente equa.

 

« Fammi il piacere Abdelkader, smettila. Per me é solo un piacere. Tu hai una tribu da sfamare. Io, al contrario, sono solo a casa, cosa vuoi che ne faccia di tutto ‘sto pesce ! »

« Abbiamo pescato insieme. Dio  ha voluto che tu prenda la tua parte. Dunque devi accettarla. Non si puo’ andare contro la volontà di Dio. Cio’ che ne farai, sono fatti tuoi! »

 

Una volta dopo aver passato una giornata intera senza che il pesce si facesse vedere, eravamo sulla via del ritorno ed Abdelkader aveva filato una lenza in acqu, giusto per lavarla e tenderla prima di riavvolgere. Eravamo quasi all’imboccatura e comincio a recuperare. « E pesante. Devo aver agganciato delle alghe sul fondo.» D’un  colpo   il nylon si animo’ ed un grosso coccio capone venne a cadere sul pagliuolo.Sorpresa !Eravamo ambedue felici come ragazzini.

 

                                                                                                                                        

Piazzo’ il coccio, che doveva fere i suoi buoni cinque chili nel sacco del pesce, e, ci avviammo all’attracco. Mentre sistemavamo la barca avevo notato che faceva passare surrettiziamente il pesce nel mio sacco. Protestai vigorosamente, e lui : « E il tuo pesce. Punto ! Se tu non fossi stato con me, non avrei riportato nulla. Dunque ti appartiene.»

E giù a discutere.Gli rimando il suo pesce. Lui me lo rimanda e cosi via di seguito fino a che il coccio, stanco del maneggio, ritrova le sue forze, ci scappa di mano e salta in acqua Rimanemmo come due idioti a guardare la sua ombra che si allontanava verso il fondo!

« Hai visto? Se non si rispetta la Sua volontà, Dio si arrabbia e tutti saranno perdenti.» Pena perduta discutere con la volontà di Dio e con la sua. Mi avrebbe chiuso il becco con il divieto di essere blasfemo e mi avrebbe minacciato di dare, la prossima volta,  tutto a Brahim.

 

                                                                                                                                            

A Sidi Fredj c’erano due Brahim. Il primo era il meccanico del porto.Fannullone, sempre allegro,di nessuna fiducia. Era sempre sporco, nero della morchia che ramazzava nelle cale a motore. Lo supponevamo sporcarsi apposta per mostrare di aver lavorato invece di dormire, come faceva in realta, sul fondo delle barche.

Il secondo era un gattaccio selvatico da sempre fisso al porto. A parte la forma era identico al primo Brahim. Sporco, incrostato,Il pelo nero di grasso motore. Anche lui aveva l’abitudine di sonnecchiare nella stiva delle barche.

Brahim, il gatto,era un ladro notorio. Brahim, l’uomo, un ladro presunto.

Un bel giorno arrivando al porticciolo, , Elhadi mi disse: « Vieni a mangiare, ti ho preparato un’insalata e ti sto arrostendo un sarago che ha voluto lasciarti Krimo.»

                                                                                                                                       

Aspettando che il pesce fosse cotto prendo il piatto d’insalata e me ne vedo a chiaccherare con gli amici. Mi perveniva il profumo del moi sarago che si cuoceva dolcemente sulla brace.

 

 

El Hadi mi chiama : « Aziz vieni, é pronto»

Masticando la mia verdura, lascio la compagnia, che preparava lenze, e mi avvicino al braciere.

Brahim, sorto dal nulla, rapido come il fulmine, salta sulle braci senza preoccuparsi del calore, afferra tra i denti il pesce rovent e si getta in una fuga sfrenata. El Hadi si precipita all’inseguimento e riesce a sferrargli un terribile calcio che lo proietta in acqua. Il gatto si mette a nuotare come un pazzo, sempre con il pesce in bocca e sparisce fra le barche. Quel giorno mi sono dovuto accontentare dell’insalata.

Il gatto conoscendo le conseguenze del suo atto mise parecchi giorni prima di riapparire in società.

 

 

 

Il gran signore del porto era il moi amico Krimo. Il suo vero nome Abdelkrim

Krimo era un mito ad Algeri. Era conosciuto da tutti. In gioventu, con suo fratello Wahab, aveva rappresentato la gloria sportiva dell’Algeria in campo internazionale. Ora viveva di rendita e di affari.

Gransignore, sempre elegantissimo, grande conoscitore di donne e di bottiglie. Un vero algerino, insomma. Sfiorava il metro e novanta di altezza. Andatura elegante nel suo blazer bleu ed i suoi mocassini brillanti.

Una testa leonina guarnita da una capigliatura nera e fluente. Sempre pronto a far festa ed a godere con gli amici. Anche io, come tutti, l’adoravo e le nostre dispute finivano regolarmente in un abbraccio.

Dopo una notte di bagordi, sbarcava sulla banchina, apriva la sua cabina, usciva la sua sdraio ed aspettava l’arrivo degli anziani. Sid Ali, Merabet, Abdelkadere gli altri,

Erano golosi del racconto delle sue imprese notturne. Alcoliche ed erotiche.

Avevano l’impressione di ritrovare, attraverso gli exploits di Krimo, la loro gioventu.

Bevevano letteralmente le sue parole, registravano attentamente le sue cronache, inghiottivano il tutto senza preoccupazione, anche qualche esagerazione.

Tutta l’atmosfera di Sidi Fredj mi manca, ma quando cerco nei miei ricordi, quello che si presenta per primo, il più prepotente,  é il ricordo do Krimo

 

 

Tutti i personaggi da me raccontati sono reali ed esistiti veramente. Vivono tuttora nel mio ricordo. Vorrei che questo racconto facesse apparire come l’amore del mare possa accomunare popoli, razze e religioni diverse. E in realta questo il miracolo del nostro mare.

Che il mare vi benedica e vi ispiri!
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scubabob
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bullet Postato: 12 Marzo 2008 alle 19:36
Grazie per questo bellissimo racconto!

Ciao
Roberto

Scubabob
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